Il Sol dell’Avvenir

Pierre Pellegrini

Eppure, in un tempo lontano, quando la rete era quella dei pescatori o degli uccellatori, che si fosse catalogati tra gli ultimi o penultimi, a sinistra si poteva contare su una qualche forma di, reale o meno, protezione. Anche ideologica, anche diversamente parrocchiale. La spesa alla Coop, l’assicurazione presso l’Unipol, le normali traversie lavorative (e non solo) presso il sindacato (Cgil, ovviamente), un punto di ascolto nella sezione del Partito (il PCI, che altro? ) e nelle altre casematte di gramsciana memoria ad esso collegate. Anche i “cattivi pensieri” che permeavano nella pancia delle grandi masse (sempre esistiti borborigmi melon-salviniani e fascistoidi in generale, ridicolo negarlo ) venivano elaborati e temperati dalla fedeltà dottrinale nella “Grande Chiesa”.
Dice, inevitabilmente tutto doveva dissolversi in un approdo verso una laica coscienza e verso una responsabilità più individuale. Libere le masse dal peso della ammuffita ideologia e soprattutto liberi i dirigenti e capetti e funzionari, partendo dalle comode posizioni che il Partito e i suoi satelliti avevano loro concesso, di prendere il largo verso più personali orizzonti.
Si sa, le frustrazioni dei burocrati quando liberate dagli obblighi della decenza delle regole, spesso sfociano nel delirio di onnipotenza proprio della scoperta libertà.
Con gli esiti prevedibili che sappiamo.
Questo, per sommi capi, è avvenuto.
Meravigliarsi che le masse (quelle!) abbandonate alle loro difficoltà, si rivolgano a chi offre loro ascolto e protezione (poco importa se strumentali e spesso indecenti e spesso fascistoidi) significa ignorare di quale forma e di quale sostanza sia fatta quella cosa misteriosa che, a sinistra, continuiamo a chiamare Politica.
Amen.
ps. Scritto nel 2018. torna ora più che mai d’attualità nei nostri tristi tempi di #covid19 dove i disagio degli ultimi trova nuovi alimenti e una mediazione tra Potere e bisogni (non solo economici) è più che mai latitante.
Per dire, la CGIL ha (avrebbe) mezzi, strutture, personale (basti pensare al potenziale di volontariato che potrebbe mobilitare tra i suoi iscritti pensionati) per dare un senso al suo ruolo e, di più, alla sua Storia, reggendo dignitosamente un confronto con la Caritas, per dire.
Per dire, appunto.

Rimanenze

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Sta lì. Ma senza imperativi. Figurarsi categorici. Star lì. Definendo luoghi e soggetti (in luogo di…) e oggetti e condizioni e fini penultimi, ché le ultimazioni o gli ultimativi girano al largo, non vediamo e non possiamo/vogliamo vedere. Giusto il giusto. Ora sfebbrati, ora liberati dai fuochi e dai relativi giochi che… quel piccolo piacere nel giacere nel braciere di una strappata voluttà…

Come il polso di un morto. Nuvole e canzoni. Dove vanno le nuvole. Vanno e vengono, certo e prendono forme che il vento, per brevi inattendibili (nessuno può crederci) momenti, presta loro. Canzoni e calzoni (caldi appena sfornati o appena lavati od asciugati, stesi come siamo tutti con la testa appoggiata sull’erba a guardare stelle e nuvole e luna e quello che c’è nelle ore che si somigliano tutte, un brivido appena o il sole, se c’è , a scottarci la pelle, ma senza salvarci, anzi, ancora una volta ad ucciderci piano) ma senza musica, prego.

Sta lì. Ma è fuggito e sfuggito e ancor fuggitivo. Da sé e da quello che c’è. Intorno e anche dentro e fuori da tutto e da tutti. Le labbra cianotiche, tremando e tramando e mandando all’inferno l’inverno del nostro contento, gli occhi a fissare le cose che stanno, che vanno, delusi ma no, l’incedere stanco verso un ignoto che ormai conosciamo e verso cui, assenti di più acuta presenza, ormai procediamo col solito passo. Il delirio s’è fatto e s’è sfatto. Le parole sporcate dall’ovvio declino deciso e reciso da chi più non la vuole, se duole, la vita che vita si fa.

Il fresco e il tepore e le attese in riprese ordinate da ordine e caos. Ordigno di morte. L’ordito crudele in storie di sesso e d’amore appassito e trapassata passione.

E il conto alla fine. Pagando il dovuto. Sia stato quello che è stato. Un contratto, un libero scambio, uno sprofondo d’angoscia, la contrizione pentita e già postuma, inganno od incanto oppure illusione, delizia di lubrica malcelata malizia, pretesa o riscatto o ricatto o lascivo abbandono.

Non chiedere alla memoria il resoconto di una piccola ignobile storia a cuori di cani nella tormenta.

Tutto era già stato ancora prima che tutto accadesse. E tutto sarà come se nulla fosse accaduto.

Per sempre e mai più. Fino alla polvere o cenere o neve che tutto ricopre (il tempo, il vulcano, i morti). È solo un piccolo tempo che pomposamente chiamiamo infinito il tratto che ci segue e precede. E la vita? Reclama l’innocente spietato (la vita reclama o è una domanda scomposta e irrisolta? Chi sa?). Risposta immantinente riposta: È qui. Fatta di troppi infiniti momenti da dimenticare. Per dimenticare. La cara complicità di una carezza. Un lago di lacrime amare. Salsedine e vaghi rimpianti. Perfino dolcezza. Perfino languore. Lavorando di sgorbia e abrasivi. Lisciando e leggermente soffiando col capo inclinato. A guardare, a gemere, a toccare l’imprevedibile abisso che avviene.

E non più risalire.

Non più risalire.

In signiFICAnte (07/072006)

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Perché la parola assuma e perda funzione. Perché si consumi il-logico fuoco del gioco di sua consunzione. Perché si contamini il suo contaminante nitore. Per uno scoprirsi ormai sparsi in un divenire sospeso… ci si perde senza a-mai ritrovarsi… E perde il suo senso e si perde il tanto ed il poco che tanto e poco si è…

Canzonando e cantando una triste ritrita mal-aria. L’assolo d’un usignolo. Un merlo per caso. Un barbagianni e il suo volo, un assiolo,  il grido morente d’una consolazione, un dis-corso scan-dito di sonante cristallo, un dirompente vibrato,  uno scherno, uno scherzo, l’appuntamento mancato. Una inutile chiosa a un delirio additato, l’impasse di un balbettante profeta fallito… s-finito… Ammutolito… perché ci si assolve, dissolvendosi in bruma, da colpa di definita eppure confusa ritrosia…

Per ammantarsi del danno assoluto inferto in un addomesticato silenzio…

E l’argomento? È la tentazione avvilita del reprobo e del rassegnato alla lotta infinita dell’apparente sostanza con la sostanziale apparenza…

E se dai bassifondi della ragione… dal sottosuolo del cuore si reclama un minimo di comprensione… gli si risponde con tremula affermazione riposta nei rarefatti anfratti di senso mancato dell’animo umano, nei vuoti spazi interstellari dell’indecisione, derisa, offesa, insultata e umiliata tra i nodi irrisolti dell’interpunzione (sta nella Biblioteca di Babele un libro: una vocale (ma quale?) tre punti ed infinite pagine bianche… in-finite… infinite…) tra caratteri stanchi e dimessi… Nell’immenso finto e finito tempio dei tempi in tempi di glaciazioni. Perché uno slancio fugace non cerca e non trova la sua dimenticata memoria… Per essere l’oltre e l’altrove di quel che si è… disarmato , sconfitto ormai vilipeso a che si rinnovi nel consueto dolore…

Il dolore… per amore di pace e dissoluzione…

Amore o guerra che sia non si dichiara, si fa.

E se per ignavia o supremo candore non s’individua il nemico, sarà per percorsa troppo percossa ovvietà, per spirito assente o ironia. Dolce inganno o spudorata menzogna che sia.  Per quel che si crede e non è … e forse per questo lo è… Per quello che porta il vento per un breve momento… Per struggente rimpianto o per noia… Per normale idiozia… Per tutto e per niente sarà o… per distrazione…

Una svagata consumata morbosa ecumenica dolcissima… masturbazione

Do di petto

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Di terra piatta
Nascosta tra le brume
Amo,
Sotto i visi,
I dolci colli
E pur le vette minacciose
Che leniscono
Le noiose vite parallele
Fatte degli orizzonti a perdersi.
Amo labbra schiuse
Che inclinano
In leggera asimmetria
E menti piccoli
…e bugiarde
E amo i seni
Disegni di creanza
Piccoli e tondi
A goccia
A pera
A mezzaluna
Turgidi rovelli e languidi
Morbidi duri scarni od avvizziti
Cremosi grandi pomi
Che stanno in centro chiusi
O periferici
Che stanno ai lati rilassati.

Amo le tette
Le zinne
Le mammelle
Amo i seni a tangere con soffio
A strofinar cogli occhi semichiusi
A vellicar col dorso delle dita
Amo i seni sfatti ormai vissuti
Amo dei seni
Un solo vago accenno virginale
Amo
Le grandi enormi poppe a dismisura
Le chiare o brune areole
Piccole o immense
Stizzite o fiacche
Pupille dilatate
E quiete
Amo seni cascanti
Cascami delle vite già accadute
E quelli persi ormai
Piccole borse vuote
Di dolci vecchie
Dal sorriso rassegnato
Vedo nei seni
Occhi che raccontano la vita
E mi diletto
A lasciarmeli a guardarmi
E
D’insaziata meraviglia
Li voglio rimirare all’infinito

En marche (o in cammino?)

uyljuokoEn marche o in cammino. A passo di gambero: in avanti per tornare indietro? En marche o in cammino. Per scansare il passo dell’oca e il conseguente ripasso di ricorrente catastrofe?
Destra e sinistra non sarebbero più categorie del presente. Forse (forse forse) è così. Di sicuro restano ben evidenti il sopra e il sotto. L’alto e il basso.
Di sicuro, da sempre, chi sta sopra sputa, piscia, vomita, ecc. in testa a chi sta sotto.
Di sicuro una certa idea di sinistra ha sempre cercato di raccogliere i giustificati malumori di chi sta sotto a beccarsi i materiali espulsi di chi sta sopra, trasformandoli in comune ri-sentimento (verso quelli di sopra, di cui sopra) e afflato solidale.
Di sicuro una certa idea di destra ha sempre cercato di raccogliere i giustificati malumori di… tutti, sopra e sotto, trasformandoli in contrapposti ri-sentimenti per quelli che stanno comunque sotto. A scalare. E se di afflato solidale ha mai trattato, ha sempre cercato di circoscriverlo, limitarlo, ghettizzarlo. Cercando ed individuando un comunque nemico tra quelli comunque sotto: razza, classe, tribù, clan, nazionalità, campanile.
Da una parte l’insieme confuso e indefinito e pur solidale (ora si dice buonista): intanto si aprano gli ombrelli per ripararsi dalla mefitica pioggia che dall’alto vien giù e si rifletta sul da farsi, non distinguendo tanto da chi sta appena sotto o sotto sotto o sotto sotto sotto…
Dall’altra una qualsivoglia identitaria appartenenza: ognuno che sta sotto si curi di ributtare più sotto la merda che arriva dall’alto. E quello appena più sotto si curerà di rimandarla più giù…
Destra e /o sinistra -forse- marciano (o camminano) ancora.

 

 

 

 

L’invidia e la ministra: solita minestra

Catturafffkk23Da Corriere della Sera.it

@meb (Maria Elena Boschi) «Fare il ministro a 34 anni forse attira invidia, ma invidia e maldicenze non mi fanno paura»

Invidia. Ci mancava l’invidia. Nove volte su dieci, quando si scomoda la presunta invidia di cui si sarebbe vittime, è già partito il delirio, la paranoia, il chimicredodiessere, il modestiaaparte, l’estremo limite della superbia… Insomma… L’invidia come categoria politica l’abbiamo sentita scomodare la prima volta da Berlusconi. Non che, essendo la politica compresa di umana piccolitudine, l’invidia non sia contemplata. Ci sta. Difficile però classificare il desiderare avere il denaro di un ricco come invidia ma, in soldoni,  chi ha mai (a parte qualche povero demente) desiderato “essere” Berlusconi? Resta il fatto che per un potente sia abbastanza indecente, oltre che furbo, ricorrere alla presunta invidia per non essere attaccato in quanto potente. Se si ricorda la “invidia sociale” teorizzata da Berlusconi, che altro era se non un artificio dialettico per svilire la secolare istanza di uguaglianza di quelli che stanno peggio? Ridurla a umano sentimento di invidia equivale a irriderla e a rendere patetica e del tutto priva di dignità politica quella istanza. Si direbbe che questo meschinamente astuto pensiero sia stato del tutto assimilato dal meanstream del pensiero corrente. I grandi cambiamenti da sempre si ottengono (nel bene e nel male) cambiando il lessico corrente. Mutando la cultura di fondo. In questo Renzi è una perfetta continuazione di B. È l’evoluzione (in senso darwiniano ) del Potere. Che lo si apprezzi o meno, questo, obiettivamente è: la continuazione di B. nell’imposizione di un lessico a misura del potere che gestisce. Un esempio? Se chiami un decreto “La Buona Scuola ” chi vi oppone è per la cattiva scuola?

Poi, se nei confronti della Madonna dei Boschi ci stia un’antipatia, una distanza antropologica dal modello fighetto arrogante, impunito, leggermente delirante, inebriato di potere, tipico del renzismo, la signora e tutti i signorini, democristianucci evoluti anzichenò, par suo, dal Matteuccio suo in giù, se ne dovranno pur fare una ragione.

Veh.

L’Urletto. Verso un mondo perfetto

l'urlettoRipetuto fino all’ossessione non esistere nessuna VERITÀ essendo, più coinvolti che immersi, in una strana (quasi nulla condivisa) convenzione che chiamiamo REALTÀ, e che dunque parlare di falso e di autentico implica una qualche contraddizione… Tuttavia in quelle infinitesima condivisa bolla, ci sta una quantistica porzione d’assoluto, espresso almeno in calcolo di probabilità… Insomma, premesso quel che si doveva (relativismo assoluto, mica finferi) il falso e l’inautentico esistono eccome. Stanno o non stanno tra le pieghe del comune agire, tra gli imbarazzi (veri se riferiti a una coscienza e non ad una pur fascinosa piuma trasportata del vento) di una parvenza di coerenza di pensiero, stanno o non stanno in una “costruzione” del dolore che non si ferma ad una ferina sensazione, stanno o non stanno in un senso (o comunque una sua ricerca) che ogni “sguardo consapevole” comporta. Stanno o non stanno nella vita bella e maledetta di ogni disgraziato essere che su essa non può non riflettere….
Cose così, insomma. Giusto per esprimere quel po’ di irritazione e d’irrisione verso un mondo perfetto: quello che parimenti inneggia all’amore e all’odio con la tranquillità propria degli sterminatori e degli idioti. Giusto per riaffermare che, puoi sottrartene finché vuoi alla macchina infernale che tutto e tutti livella alle sue necessarie funzionalità. Giusto per dire, che, riconosciuta la grande immensa straordinarietà dei tempi che viviamo ci sta sempre un fessbùk (per dirne d’uno) a riportarci nell’alveo del NOSTRO consueto cretinismo, nella quotidiana BANALITÀ del male, alla nostra umanissima piccolitudine.
Per dire che in questa ordinaria infamia il grido si fa gridolino… l’urlo si fa urletto…
Fino… fino a qui… appunto

400 miliardi? Sì, 400 miliardi.

289Il Pres. del Cons. (il francesismo è compreso) a “Bersaglio Mobile” ci informa che dall’inizio della crisi gli italiani hanno aumentato di 400 miliardi i loro risparmi. 400 miliardi sottratti al circuito dei consumi e della domanda interna. Con conseguente attorcigliamento della crisi. Servirebbe, dice, un diverso atteggiamento volto alla fiducia e all’ottimismo. Forse. Anche. Anche. Ma non dovrebbe anche rivolgere un piccolo pensiero su come siano mal distribuite risorse, ricchezza, e redditi? E che il flusso del denaro circolare nel “verso sbagliato”? Verso chi, cioè, può permettersi il lusso di non spendere, anzi, di più, di risparmiare. Che è poi la storia tragica del nostro tempo e del nostro idiota sistema di capitalismo avanzato (avariato e marcio). Che è poi l’ennesima prova di come una seria redistribuzione di risorse, ricchezza, redditi, lavoro e tempi di lavoro sarebbe funzionale, non solo a una società più giusta, ma soprattutto a una società più equilibrata e meno conflittuale. Dove la parola “Progresso” ripiglierebbe il suo senso primigenio. Il “verso giusto”, “la volta buona” “adesso”. Quelle cose lì. Caro Pres. del Cons. ( francesismo compreso).

Oggi. E domani?

Da l’Unità.it Dieci, cento, mille Cossiga » di Leonardo Tondelli

Perché, al di là delle belle avventure e delle corse affannate a cercare un po’ di adrenalinica giovinezza, tra provocazione e fuga, tra rito d’iniziazione (più tribale che no) e genesi di una coscienza politica, tra adolescenziale superbia inscritta in natura e prassi automatica di culto barbarico, tra il genuino tuffo di irruente bellezza e selvaggia, e le furbe e insidiose spirali di un comunque POTERE… Insinuante, lusinghiero, attraente. Neutro POTERE che si dondola piano tra malizia e malignità. Che poi si fa disilluso e spietato POTERE. Nelle sue forme più varie. Passiva ed attiva, già ben comprese. Soggetto od oggetto. Maliziosamente instillato e/o malamente subito. E ruoli confusi. Credendosi AGIRE ed essere, subdolamente, null’altro che AGÌTI. Credendo al rifiuto di un accomodato servaggio e farsene invece e vittime e complici. Fini strumenti nei secoli catalogati. Sempiterni dispositivi di vita banale che vita si fa. Addestramenti. Ammaestramenti. Piccole temporali contratture tra un presente eloquente di speranze e furori e un feroce futuro. In mezzo sta il muro. Di qui un POTERE che vuole e che forse (un forse giammai forsennato se non nella sua mirabile incerta – ma più che certa, di giovanile certezza –  volontà) potrà. Di là un POTERE che deve.

E tu, ragazzo di ora, adulto dove sarai?

68? Vada per 68

Da Il Giornale.it- Riforma Pensioni, Fornero apre ai sindacati -L’Inps avvisa: “Via dal lavoro troppo presto”

Dove il « troppo presto » sta a sottintendere si possa arrivare presto e ragionevolmente (?), alla media dell’andata a riposo, sostanzialmente per TUTTI, sui 67/68 anni.

Pietro Ichino ed Elsa Fornero hanno rispettivamente 62 anni 63. Giovanissimi, dunque. Anche per, oltre quello che fanno attualmente, espletare ovviamente  altri più o meno gravosi incarichi. E, come si vedrà, con una certa qual solerzia e celerità ed energia e prontezza… Insomma, loro o chi per loro 😉

Ora: ci si augura ferventemente che a tutti (ma proprio tutti) quelli che in queste ore premono per fare andare la gente  in pensione a 67/68 anni, appunto, venga un coccolone di varia gravità (compresa una micidiale mossa di corpo, tiè) mentre camminano per le vie di una città. Che vengano soccorsi da una coppia di passanti di 67/68  anni. Che chiamata l’ambulanza risponda al centralino un 67/68 enne. Che la stessa Ambulanza sia guidata da un 67/68 enne. Che l’infermiere e il portantino siano due 67/68 enni. Che intervenga un rianimatore (massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca) di 67/68  anni. Che poi siano accuditi, curati e smerdati da infermieri/e e/o ausiliari/e rigorosamente 67/68 enni.

Ora: ci si augura che nel malaugurato caso bruci loro la casa intervenga all’uopo un’allegra combriccola di 67/68enni in forma di squadra di aitanti vigili del fuoco.

Ora: altrettanto ci si augura che nel caso di un malaugurato scippo (et/aut similia)  a prontamente intervenire ad inseguire il delinquente provvedano agenti di polizia… 67/68enni, ovviamente.

E così via…

Così… per un minimo senso di giustizia. E anche per farsi quattro (in)sane risate alla faccia loro.

Ichino e Fornero, compresi, va da sé.